10 Febbraio 2018
Sulla sommità del Monte San Giuliano, a 571 mt d’altezza sorge Erice: il suo nome deriva dal siculo-italico Eryx, che significa “monte”.
La zona, di straordinaria bellezza, e naturalmente munita, fu abitata sin dai tempi del Paleolitico Superiore e del Neolitico (le grotte).
Fu città elima, poi sotto l’influenza dei Cartaginesi (il suo tempio, famosissimo nell’antichità, dedicato al culto della fertilità e dell’amore fu dedicato alla dea Astarte dai Cartaginesi, ad Afrodite dai Greci e a Venere Ericina dai Romani) ed in seguito contesa dai Greci per le sue immense ricchezze.
Distrutta durante la 1^ guerra punica dai Cartaginesi, che ne trasferirono gli abitanti a Drepanon (Trapani), Erice fu conquistata dai Romani nel 248 a.C., i quali riportarono all’antico splendore il tempio, dedicandolo alla dea Venere.
Seguì poi le vicende storiche di tutta l’isola: fu bizantina, poi araba, quindi normanna. I Normanni ripopolarono la città, costruendovi il famoso Castello.
Durante il Medio Evo vi furono edificate chiese e conventi, e da allora, tranne qualche palazzo barocco, la roccaforte e rimasta la stessa.
All’interno della cinta muraria (di cui sono rimaste tre porte di epoca medievale) si può ammirare il Duomo, edificato nel Trecento, il Castello normanno, la chiesa di San Martino, anch’essa normanna, la chiesa di San Domenico (oggi sede del Centro scientifico Ettore Majorana), il museo civico, e tutto l’incantevole paesino, dalla struttura tipicamente medievale.
Furono il culto della fertilità e dell’amore a segnare Erice, celebre nell’antichità per il suo santuario in cima alla montagna al quale si rivolgevano i naviganti.
Fu di Astarte per i Cartaginesi, di Afrodite per i Greci, di Venere Ericina per i Romani: faro in tutto il Mediterraneo, il tempio della dea venne forse fondato da Enea, o forse da Dedalo, o magari dal re locale Eryx, figlio di Afrodite, che sfidò Eracle di passaggio da quei luoghi e venne da lui ucciso (e dunque la città rimase sacra ad Eracle).
Di questo tempio non v’è più traccia; secondo Diodoro, sorgeva sull’antica acropoli ove nel XIII secolo fu costruito il castello normanno. Vi si giunge attraverso i giardini del Balio, strepitosa panoramica a strapiombo sul mare, da dove ci si abbandona ad un orizzonte che prende le Egadi e monte Cofano. Si passeggia sulla spianata della magnifica fortezza, spesso battuta da onde nebbiose che si ispessiscono e si diradano dolcemente quanto improvvisamente. Si cerca qualcosa che possa far pensare ad un altare all’aperto come un “falso pozzo di Afrodite”. E si resta, invece, storditi da un luogo che mito, vestigia e natura rendono turbinoso e di misteriosa sensualità.
Città elima e poi sotto l’influenza dei Cartaginesi, contesa dai Greci, Erice fu talmente ricca che, nel 415 a.C., Segesta volle in prestito le sue coppe d’oro e d’argento per far colpo sugli inviati ateniesi ai quali chiedeva difesa contro Siracusa. Sono all’incirca di questo periodo le mura di cinta che ancora scorrono in declivio, ben conservate, sul lato occidentale dell’abitato, da porta Trapani a porta Spada, per circa 800 metri: nella parte inferiore, le mura sono in grandi blocchi di pietra; hanno torri a pianta quadrata e in esse si aprono alcune postierle ad architrave monolitico.
Distrutta durante la prima guerra punica dai Cartaginesi, che ne trasferirono gli abitanti a Drepanon (Trapani).
Erice fu conquistata nel 248 a. C. da Roma. Forse allora era un ammasso di rovine, ma il tempio della dea rinacque a nuovo splendore grazie ai vincitori.
Scrive Svetonio: “Claudio fece restaurare il tempio di Venere Ericina in Sicilia, che era caduto in rovina per invecchiamento, a spese dell’erario del popolo romano”.
E aggiunge Diodoro: “Essi [i Romani] superarono tutti i popoli che li avevano preceduti per le onoranze che rendevano alla dea”.